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I SENZA TETTO DI MILANO PROTAGONISTI DEL PROGETTO “SOFT HOME DIARY” DI FEDERICA VERONA
Sabato 14 ottobre torna la “Notte dei senza dimora” l’evento ideato da Terre di Mezzo, che vuole sensibilizzare sul problema dell’emarginazione sociale. Per un giorno saranno loro, i senza tetto, i protagonisti di una grande festa che animerà Piazza Santo Stefano con musica, messaggi e testimonianze. In occasione di questo evento, ho pensato di parlare di un progetto davvero originale. Si chiama “Soft home diary” ed è il racconto fotografico dei senza tetto di Milano realizzato da Federica Verona, architetto e urbanista, ideatrice di “Super, il “festival delle periferie”, che dal 2004 si occupa di periferie e disagio abitativo. Si tratta di un diario che attraverso la fotografia racconta le “case” di chi una casa non ce l’ha e cerca quotidianamente di conquistare il suo piccolo “spazio abitativo”, curandolo e “arredandolo” come crede, in una continua ricerca dignità.
A Federica non interessa la casa in sé ma come i senza tetto organizzano lo spazio per ricreare, in una dimensione minima, le abitudini che avevano prima di finire per strada. Un punto di vista particolare, su cui la maggior parte non si sofferma. Vediamo di sfuggita i senza tetto per strada, ne parliamo, ma mai ci soffermiamo su come vivono, sulle loro abitudini, mai ci chiediamo come si organizzano per conquistarsi il proprio spazio e ricreare il proprio nido. “Gli homeless non sono tali solo per scelta, anzi: ma una volta per strada devono rispettare regole ferree e usare ogni mezzo, anche un ombrello aperto come fosse una tenda, per avere un po’ di privacy e per difendere il proprio spazio” (Federica Verona in un’intervista a la Repubblica). E, magicamente la fotografia diventa il mezzo ideale per rappresentare questo mondo che a me affascina molto.
Ma ora entriamo nel dettaglio del progetto e facciamo qualche domandina a Federica.
Indice
SOFT HOME DIARY: INTERVISTA A FEDERICA VERONA
Cos’è precisamente “Soft home diary”?
“Soft home diary” è il racconto fotografico di come lo spazio pubblico può diventare casa e un modo per avere cura di sé, anche nell’emergenza, attraverso abitudini straordinarie che diventano normalità per chi le assume. Le strade del centro città, che quotidianamente capita di attraversare, assumono una peculiarità interessante. Di giorno sono utilizzate da una popolazione di lavoratori, turisti, pendolari, studenti in movimento. Di notte, quando tutti tornano a casa, nei propri studentati, in albergo, le stesse strade si svuotano restando deserte per un po’ per poi ripopolarsi piano piano diventando rifugio dei senza casa. Spuntano cartoni, plastiche, coperte, sacchi a pelo, spesso nascosti negli anfratti delle colonne o nei sottoscala dalla sera prima, e si allestisce un accampamento di posti letto. La città diventa un centro di accoglienza informale e temporaneo.
COME NASCE L’IDEA?
L’idea nasce dieci anni fa quando, in occasione della laurea in architettura a Venezia, Federica realizza una tesi di urbanistica sull’homelessness a Milano, in cui studia proprio le dinamiche dell’accoglienza e le politiche a riguardo, concentrandosi sull’idea di accettazione da parte della città delle persone senza casa. “In generale l’homelessness fa paura perché potenzialmente, homeless, potremmo diventarlo tutti se perdiamo il lavoro, la tranquillità familiare e le nostre reti” – sottolinea Federica – “Per questo mi sembrava interessante provocare in questo senso la città”.
Hai mai avuto l’occasione di incontrare senza tetto ingegnosi nel costruirsi la propria “casa”?
Ho parlato con molte persone che hanno abitato la strada, anche se i loro volti non li fotografo mai. Ci sono diversi modi di abitare. C’è chi vive solo e chi vive in un gruppo: ad esempio vicino alla stazione Centrale sotto ai portici, gli abitanti della strada, sono soliti riempire i sacchi delle immondizie di coperte, cuscini, lenzuola e appenderle in un grande albero davanti alla Stazione, che diventa una sorta di deposito durante il giorno. Verso le 19:00 quando ormai fa buio, in queste sere, prendono i sacchi, li svuotano e preparano il loro giaciglio. La mattina si alzano, riempiono di nuovo i sacchi neri e li legano nuovamente all’albero. In zona Duomo è più facile invece vedere case di cartone. Alcune sono fatte con materiali e plastiche recuperate in qualche cantiere. Una volta avevo conosciuto una elegante signora che in zona Solferino dormiva in una branda e lavorava all’uncinetto. La mattina si alzava e puliva a terra con spazzolone e scopa che i vicini bar le prestavano. Per le donne la strada è davvero difficile e hanno una aspettativa di vita molto più bassa degli uomini.
Purtroppo a Milano si contano oltre 11 mila senza tetto. Come si può intervenire? Hai delle proposte in merito?
La crisi nel mondo del lavoro, la perdita dei legami familiari (spesso conseguente) è la principale causa dell’homelessness soprattutto maschile. In più ci sono stati i flussi migratori, i confini che sono stati chiusi rendendo molto più prolungate le permanenze dei richiedenti asilo. L‘immagine del clochard che vive in strada per scelta è un lontano ricordo. Milano fa moltissimo sull’accoglienza, in questi ultimi anni sono stati fatti dei passi avanti notevoli. E anche la sensibilità dei Milanesi nell’accogliere i rifugiati ad esempio è stata incredibile e sorprendente. Certo noi in Italia siamo sempre molto concentrati su un welfare basato su una idea di disagio prolungata ma, forse, poco contemporanea. Quello di cui abbiamo bisogno oggi sono politiche nazionali che ragionino su forme di accoglienza temporanea e non solo legate ad un percorso di reinserimento nel lungo periodo ma più capaci di rispondere a bisogni immediati. Credo che oggi servirebbe ragionare su reti di accoglienza su strada capaci di fornire servizi come le stufe riscaldanti, qualche branda, qualche bagno chimico, coinvolgendo magari gli homeless stessi nella disposizione e rimessa in ordine. Ci sono molti spazi vuoti in città che gli homeless usano e che sono spazi vasti che nessuno durante la notte utilizzerebbe. Sarebbe inoltre utile ricominciare a ragionare sulla costruzione di ostelli capaci di ospitare mix abitativi vari. Il vecchio ostello del viandante, un tempo, accoglieva il clochard e anche il viaggiatore meno abbiente, lo studente e i giovani. Oggi gli ostelli sono al pari degli alberghi perchè molto costosi per chi deve cercare un lavoro e ha un budget molto basso”.
L’OASI DEI CLOCHARD A MILANO: UN ESEMPIO VIRTUOSO
Mi collego a quanto detto prima da Federica riguardo le iniziative a sostegno dei senza tetto per segnalare un progetto virtuoso realizzato recentemente a Milano: si tratta dell’Oasi del Clochard in via Cesare Lombroso che, inaugurata il 22 marzo, rappresenta il primo esperimento realizzato in Italia di vero e proprio villaggio dedicato a chi vive per strada. All’interno casette prefabbricate che ospitano 4 o 8 senzatetto a seconda della capienza, spazi ricreativi e culturali, mense, ambulatori e nel prossimo futuro anche una biblioteca e una palestra. Il tutto in un’area abbandonata che veniva spesso occupata dai rom. Davvero una bella iniziativa! Che possa essere di stimolo per altri nuovi progetti.
Se vuoi dare uno sguardo al progetto “Soft home diary” vai sulla Pagina Facebook dedicata e sul profilo Instagram @soft_home.
Ringrazio Federica Verona per l’intervista e le faccio i miei complimenti per questo suo interessante progetto.
Intanto ci vediamo il 14 ottobre in piazza Santo Stefano per “La Notte senza dimora”.
Se vuoi segnalarci altre esperienze e iniziative virtuose che riguardano i senza tetto, siamo felicissimi di confrontarci e parlarne sul blog.